Fotovoltaico organico: le celle solari prodotte dal Tecnopolo tiburtino saranno pronte entro il 2010

di Redazione 295 views0

 Alcuni lo vedono come l’inizio della fase pre-industriale della tecnologia fotovoltaica organica. Si tratta della produzione lanciata a Roma, nel Laboratorio di ricerca e sviluppo tecnologico del Polo solare organico della Regione Lazio. Qui, nel Tecnopolo Tiburtino, entro la fine del 2010 verranno realizzate celle solari su vetro per 10mila metri quadrati. La novità? Una tecnologia a base di biossido di Titanio che, unito a plastica o vetro, consente uno spessore inferiore dei pannelli solari. In molti già lo indicano come il futuro del fotovoltaico. Ecco pregi e difetti di questa nuova tecnologia.

IL PRESENTE DEL FOTOVOLTAICO
Il presente è costituito in gran parte dai tradizionali pannelli mono o policristallini, spessi circa 100 micron. Al loro fianco si sviluppa il segmento del film sottile. Quest’ ultimo permette costi inferiori e una migliore integrazione architettonica per via della sua flessibilità, anche se è ancora da dimostrare la stessa affidabilità dei pannelli tradizionali. Per il momento, a livello commerciale, esiste solo il fotovoltaico inorganico, che arriva ad uno spessore – a seconda del materiale (silicio amorfo, diseleniuro di indio e rame o tellururo di cadmio) di meno di un micron. Il grosso problema è che con lo sviluppo tecnologico diminuisce lo spessore, il costo, ma anche l’ efficienza. In genere si va dal 10-12% del pannello tradizionale all’ 8% del film sottile inorganico fino a circa il 4% dell’ organico.

I VANTAGGI DEL FOTOVOLTAICO ORGANICO
L’ idea nasce in Svizzera, ma è stata sviluppata nei laboratori di ricerca del Lazio. A differenza delle celle di silicio, con il fotovoltaico organico la luce viene convertita in corrente elettrica grazie all’ azione combinata di un colorante di origine organica (gli antociani) e un film sottile di nanoparticelle di biossido di titanio (lo stesso materiale utilizzato come sbiancante nei dentifrici). La cella è composta da una base in vetro o plastica e uno strato di biossido di Titano, sul quale vengono depositati gli altociani e un elettrolita. Sulla carta, i vantaggi principali rispetto all’ inorganico, sono diversi.
Innanzitutto lo scambio di cariche non avviene attraverso un’ unica superficie: con le nanoparticelle la reazione è su tre dimensioni. C’ è poi l’ aspetto dei costi: un impianto che oggi costa 20mila euro potrà crollare a 200 euro. I materiali, infine, sono più leggeri e dovrebbero favorire l’ integrazione architettonica. La tecnologia sfrutta la luce diffusa, in quanto le celle trasparenti possono essere integrate sui vetri delle costruzioni e sfruttarla sia in esterno che in interno.

UN CONSORZIO CON ESCLUSIVA
I laboratori per la produzione del fotovoltaico organico sono il frutto della collaborazione tra l’ Università Roma Tor Vergata e la Regione Lazio, che ha finanziato l’ attività di ricerca due anni e mezzo fa con 6 milioni di euro. Lo spin-off Universitario Dyers farà poi da supporto alla fase di ingegnerizzazione del prodotto. Per l’ industrializzazione effettiva, che avverrà dopo il 2010, si è già creato un consorzio all’ interno del quale confluiscono l’ università Tor Vergata di Roma, quelle di Ferrara e Torino a fianco di alcune aziende che si sono aggiudicate l’ esclusiva della produzione e commercializzazione: Erg Renew, Permasteelisa e l’ affiliata italiana dell’ australiana Dyesol.

PROBLEMI IRRISOLTI
Sembrerebbe tutto perfetto. Ma sulla strada della commercializzazione vanno ancora affrontate alcune questioni. Come, ad esempio, il problema relativo all’ elettrolita utilizzato: quello attuale è corrosivo, quindi richiede elettrodi fatti di materiali molto resistenti. In più andrebbero capiti meglio i meccanismi con cui avvengono alcuni fenomeni nanoscopici.
Nel frattempo la ricerca continua… a un passo dal successo.

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