Così i cambiamenti climatici influenzano la borsa

di Redazione 48 views2

I cambiamenti climatici influenzano anche la borsa. Le principali aziende mondiali quotate in Borsa, nonostante la mancanza di un accordo globale sul cambiamento climatico, affermano che il carbon management sta assumendo una priorità strategica per il loro business, diventando a tutti gli effetti un driver competitivo. Anche in Italia, il carbon management si sta definitivamente imponendo nell’agenda dei consigli di amministrazione quale importante indicatore a cui gli investitori guardano con sempre maggiore attenzione.
E’ questo il trend che emerge con forza dall’ultimo studio ‘Carbon Disclosure Project 2010- Italy 60 Report’, presentato oggi a Milano in Borsa Italiana, in un evento promosso dal Carbon Disclosure Project, l’ong che rappresenta oltre 500 investitori istituzionali, elaborata da Pwc in collaborazione con Banca Monte dei Paschi di Siena.

Gli incentivi delle aziende green
L’iniziativa ha rivelato che circa il 57% delle aziende italiane che hanno aderito al progetto di ricerca offrono ai loro manager incentivi valutati in base al successo di operazioni green, dati che se confrontati con la statistica mondiale Global 500 appaiono in percentuale di poco inferiore (63%). Le aziende infatti hanno dichiarato che nonostante non esista ancora una normativa globale le imprese si stanno organizzando per dare maggiore spazio al carbon management, anche in Italia, facendo dell’interesse per l’ambiente un elemento di competitività ed interesse da parte degli investitori. Per la redazione della classifica sono state intervistate 60 aziende del mercato italiano e le 21 che hanno risposto hanno fornito dati sulla loro governance ambientale oltre che sulle strategie per un futuro low carbon e i risultati ottenuto sino ad oggi.

Trasparenza e virtù premiate dagli investitori
E’ interessante sottolineare come l’81% dei respondenti, che ha divulgato le proprie emissioni, abbia validato tale dato tramite un verificatore esterno indipendente. Un chiaro segnale che le aziende italiane stanno prestando maggiore attenzione al bisogno di riduzione delle proprie emissioni risulta dal fatto che il 76% delle aziende che hanno aderito allo studio, hanno un target di riduzione delle emissioni e il 10% è nel processo di sviluppo di tale target. Questa tendenza è in linea con la missione di Cdp: accelerare le soluzioni al cambio climatico” ha commentato Diana Guzman, Director Souther Europe di Cdp.

Il ruolo della politica
In egual modo è andato aumentando anche il numero delle aziende che pubblica i propri obiettivi di riduzione affermando di aver adottato anche dispositivi che aiutino il personale a diminuire le proprie emissioni. Per tutti gli intervistati appare sostanziale e necessario il contributo della classe politica: il 67% ha infatti confermato che grazie al lavoro in collaborazione con i politici stanno redigendo nuovi assetti e nuove politiche e a livello globale la percentuale sale all’80%.

Il valore dei report aziendali
Il rapporto italiano, inoltre, presenta una novità: oltre ai successi raggiunti in termini di riduzione delle emissioni le imprese sono state chiamate a rispondere ai criteri di un nuovo indicatore di performance il Carbon Performance Leadership Index (Cpli), che riconosce le aziende che stanno adottando le migliori strategie e stanno raggiungendo i migliori risultati. Il Cpli completa l’esistente Carbon Disclosure Leadership Index (Cdli), che valuta la qualità e la completezza del reporting delle aziende ed il loro carbon management.
La classifica riportata rappresenta il Carbon Disclosure Score ed il Carbon Performance Band dei respondent. Come sembra logico aspettarsi, le aziende che guidano la fascia come risultato di performance, sono le prime anche per disclosure e sono: Eni, Terna, A2a, Fiat, Banca Monte dei Paschi di Siena e Italcementi.

La lotta al cambiamento climatico su più fronti
È interessante notare che 5 sui 7 settori industriali cui appartengono i respondent sono rappresentati in questo piccolo gruppo, a dimostrazione di come le aziende di differenti settori produttivi stiano sia adottando politiche di contrasto al cambiamento climatico che puntando sulla comunicazione delle proprie strategia, mentre solo un settore industriale è rappresentato da una leading company sia nel Cpli che nel Cdli: Eni.

I rischi
Tra i rischi più frequentemente identificati nell’affrontare politiche climatiche, vi sono quelli relativi alla conformità normativa, soprattutto in settori che presentano elevate emissioni di gas serra o che sono ad alta intensità energetica.Tra le opportunità derivanti dai cambiamenti climatici, infine, sono riconosciuti come dominanti, la reputazione aziendale ed il mantenimento/acquisizione delle quote di mercato per la propria attività dovute alle mutate condizioni del clima.

Commenti (2)

  1. ANCHE ZIO PEPPE LO DICE SEMPRE!!!.. Infatti dentro la borza.. ci mette sempre l’aspirina..

    Scrive il Telegraph:
    “…emersa però un’agenda nascosta circa la preservazione di questa parte di foresta che consiste nel permettere al “WWF” ed ai suoi partners di condividere la vendita di crediti di emissione di anidride carbonica per un valore di 60 MILIARDI DI DOLLARI, per permettere alle compagnie industriali di continuare ad emettere CO2 esattamente come nel passato..

    Per la nostra stessa LEGAMBIENTE si parla di CENTINAIA di MILIONI di euro di guadagno anche “P.E.R.S.O.N.A.L.E”!
    Nessun riscaldamento globale apprezzabile rivelano gli stessi pseudo-ricercatori presi in castagna col ”CLIMATEGATE” fin dal 1995!

    Sono infatti oscillazioni indotte dal ciclo solare trentennale come confermano le sincrone variazioni di temperatura sui restanti pianeti del sistema solare .
    Ma la CO2 in queste percentuali risibili di incremento, certo comunque non potrebbe incidere.

    Ogni anno 20miliardi di tonnellate di CO2 in un’atmosfera che ne contiene 3000 miliardi di tonnellate, ossia meno dell’1%!

    E’ scientificamente provato che in passato con incrementi di 7000 ppm, di CO2 (ppm parti per milione) la temperatura rimase costante e in alcuni casi addirittura in controtendenza diminuì.
    Ora “parliamo” di 100 ppm in più, (peraltro controverso) ossia un incremento della percentuale di CO2 insignificante rispetto a 7000, utile forse solo per speculazioni finanziarie?

    Chiaro questo art. :” IPCC, GLI SPORCHI AFFARI DEL DOTT. PACHAURI”..Questi organismi comprendono le banche, le aziende del petrolio e dell’energia e i fondi di investimento pesantemente coinvolti nel “mercato delle emissioni” e nelle “tecnologie sostenibili” che, messi insieme, costituiscono il mercato più in rapida crescita del mondo, stimato prossimo a valere migliaia di miliardi di dollari all’anno..

    Energie “alternative” che ora mostrano il vero FALLIMENTARE volto, sostenute artificiosamente in maniera criminale, con danni economici e tragicamente sociali, ovunque.

    Qui i link riguardo quanto sopra grafici e spiegazioni: http://www.pieroiannelli.com/?p=8
    Cordialmente.

    Piero Iannelli
    [email protected]
    N. Cell. : 3398513962

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