I dati dello studio Nature sull’ambiente non sono falsi

Recentemente si è diffusa con insistenza la notizia di uno “scandalo” che coinvolgerebbe la prestigiosa rivista scientifica Nature. Secondo alcuni esponenti del mondo dell’informazione e dei social, tra cui il giornalista Federico Rampini e il chirurgo Roy De Vita, la rivista sarebbe stata costretta a ritirare uno studio del 2024 sui danni economici del cambiamento climatico poiché basato su “dati falsi e manipolati”.

Nature

Cosa dice lo studio di Nature sull’ambiente

La tesi sostenuta è che la ritrattazione provi l’inesistenza dell’emergenza climatica e che i media globali abbiano deliberatamente taciuto la notizia. L’analisi dei fatti smentisce la narrazione del complotto. La nota ufficiale di ritrattazione, datata 3 dicembre 2025, chiarisce alcuni punti importanti. Il primo riguarda un’iniziativa spontanea da parte degli autori, ossia la decisione di ritirare l’articolo non è stata un’imposizione esterna o una punizione della rivista, ma una scelta spontanea dei ricercatori (Kotz, Levermann e Wenz).

Gli autori hanno ritenuto che le modifiche necessarie fossero “troppo sostanziali” per una semplice correzione. Altro aspetto importante è che non si parla mai di dati “falsificati” o “truccati”. Il problema riguardava l’accuratezza dei dati economici dell’Uzbekistan relativi al periodo 1995-1999 e la necessità di una migliore gestione statistica dell’autocorrelazione spaziale.

Quindi non si parlava di frodi, ma di errori tecnici. Infine, una volta corretti gli errori, la sostanza della ricerca non è cambiata drasticamente. L’impatto stimato del cambiamento climatico sul PIL globale è passato dal 19% al 17%. Sebbene l’incertezza statistica sia aumentata, i dati continuano a confermare danni economici significativi; la “catastrofe climatica” non viene affatto declassata a “sciocchezza”.

C’è inoltre da dire come l’accusa di un oscuramento mediatico globale risulti essere infondata. La notizia della ritrattazione e dei dubbi sulla metodologia era stata riportata tempestivamente da testate internazionali di rilievo, come il New York Times, già nel momento in cui erano emerse le prime note editoriali. Alla fine si parla di un caso che non rappresenta il crollo di un castello di bugie, bensì il normale (seppur doloroso) processo di autocorrezione della scienza.

Gli autori hanno preferito ritirare il paper per sottoporlo a una nuova peer review con dati più solidi, piuttosto che lasciare in circolazione una versione imprecisa. La narrazione dello “scandalo” appare dunque come una distorsione di una procedura di trasparenza scientifica, utilizzata per alimentare scetticismo ideologico sul tema ambientale. Sono stati commessi degli errori e si è cercato di risolverli in poco tempo, parlare di scandalo è stato assolutamente azzardato, i dati scientifici alla fine hanno mostrato la realtà dei fatti.

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